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LA ArancinA (al pistacchio)

La arancinA è una delle prelibatezze siciliane più famose in assoluto, non solo in Italia ma probabilmente nel mondo.

Si tratta di una sfera di riso che al centro è ripiena di ragù di carne e piselli e fritta all’esterno, con una panatura che la rende dorata. La arancina appena descritta, chiamata volgarmente “accarne” (alla carne), viene sempre abbinata alla sorella “abburro” (al burro) che è invece condita con formaggi e cubetti di prosciutto e dalla forma più ovale.

Insomma, una sferica dal cuore rosso e ricco, l’altra più allungata dal corpo morbido e delicato.

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L’arancina è un piatto della tradizione siciliana ma, proprio per la sua diffusione, è stata spesso rivisitata.

Ad oggi le diverse ricette e varietà di condimenti non si contano più.

Tra le più diffuse, oltre alle due classiche, ci sono per esempio, quelle con la salsiccia, con gli spinaci, con il salmone, con le melanzane tradizionali o con il pesce. Perfino quelle dolci.

L’arancina al pistacchio in foto - con panatura esterna arricchita da pistacchio sbriciolato insieme alla farina e al cui interno ci sono formaggi, prosciutto e pesto di pistacchi salato - è proprio un esempio concreto di queste nuove varietà della pietanza (e per me personalmente, una delle più buone e ricche).

E chi sa quante altre versioni esisteranno, visto che la ricetta è stata esportata in diverse parti del mondo, immancabile presenza tra gli antipasti nei menù dei ristoranti siciliani o italiani, anche se da noi la si trova al bar(1), in mezzo agli altri pezzi di rosticceria.

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La rosticceria in Sicilia è una “categoria alimentare” che si trova generalmente nei bar o che si fa a casa. Si tratta di un insieme di preparazioni, salate o dolci, a base di pasta brioches(2) chiamate “pezzi”.

Il pezzo di rosticceria può essere grande - e in quel caso costituisce un pasto completo - o piccolo - e si chiama appunto “mignon” e consumato nelle stesse occasioni di consumo del “finger food” (un finger food siciliano e ricco, chiaramente!) - e viene condito in modi diversi.

A forma e condimenti specifici, corrispondono ricette, preparazioni e nomi di pezzi particolari: per esempio, la ravazzata con gli spinaci, il rollò con il wurstel, il calzone, la pizzetta, l’arancina, appunto…!

Per cui al bar, se ti trovassi ad ordinare semplicemente un “pezzo”, rischieresti di mandare in confusione l’impiegato dietro al bancone che necessita, per forza di cose, di maggiori dettagli: “fritto o al forno? Con o senza carne? Bianco o con la salsa di pomodoro? Con quale salume?”.

Quando si tratta di tavola, in Sicilia meglio non dare niente per scontato!

 

La tradizione dell’arancina a Palermo

A Palermo in particolare, l’arancina rappresenta un pezzo di rosticceria molto importante.

Il 13 dicembre, ovvero il giorno di Santa Lucia, è infatti VIETATO moralmente e religiosamente mangiare prodotti che contengano frumento lavorato.

Il motivo è legato al fatto che nei primi anni del 1600 si dice che Palermo fu colpita da una grave carestia e che, proprio in risposta alle preghiere dei palermitani, il giorno di Santa Lucia arrivò in città una nave carica di frumento. I cittadini, tale era la fame, non fecero nemmeno in tempo a macinare il grano e scelsero di mangiarlo bollito appena.

Per commemorare questo avvenimento, da allora ogni 13 dicembre, non è consentito raffinare il frumento ma da tradizione tutti gli alimenti a base di grano lavorato sono banditi.

Pasta e pizza, quindi, sono due basi assolutamente da non consumare, peggio che mangiare carne durante i venerdì di quaresima(3).

Questo “sacrificio devoto” si trasforma, però, in una perfetta occasione per mangiare dei sostituti alla pasta e, sempre da tradizione, ci sono dei piatti che si consumano in questa giornata proprio perché concessi.

L’arancina rappresenta, in questo senso, un piatto perfetto perché prodotta con un altro tipo di cereale e quindi “rispettosissima” della tradizione religiosa.

A Palermo, il 13 dicembre, viene anche chiamato “Arancina Day”.

 

La storia dell’arancina…

È complicato rintracciare con precisione le origini della ricetta dell’arancina perché non ci sono fonti letterarie che ne descrivono la nascita. Per questo alcuni studiosi hanno ricercato negli ingredienti e nel loro ingresso sull’isola, la risposta sul quesito genealogico.

Probabilmente anche questo piatto, come molti della tradizione culinaria siciliana, è frutto della “ricetta araba” perché lo zafferano, spezia fondamentale per la colorazione del riso e per il suo aroma inconfondibile, è stato introdotto dagli arabi.

Gli arabi c’entrerebbero anche con l’etimologia della pietanza: sembrerebbe, infatti, che la suddetta popolazione avesse l’uso di chiamare con il nome dei frutti le polpette di forma tonda della propria tradizione culinaria.

 

…e della disputa senza fine sul suo genere 

È proprio da questo indizio storico – dall’attribuzione del nome del frutto – che nasce la disputa sul genere dell’arancina.

In Sicilia, infatti, il genere dell’arancina divide profondamente gli abitanti isolani e tanto è l’amore per questo piatto che l’isola si fa letteralmente “in due” per difendere con orgoglio la correttezza del nome.

La “spaccazza” come si chiamerebbe in siciliano, ovvero la “separazione”, sta proprio a metà tra oriente e occidente. I siculi orientali, infatti, difendono il genere maschile del piatto perché, proprio per via della sua forma, l’arancinO altro non è che il frutto dell’albero dell’arancio che, in dialetto siciliano, è utilizzato al maschile. I siciliani dell’occidente, invece, insieme ai Ragusani e ai Siracusani (che sebbene orientali, si uniscono nella lotta con l’altro lato dell’isola) utilizzano correttamente la declinazione al femminile del frutto. L’arancio è infatti un albero, ma i frutti sono le arance.

A parte la differenza di genere, che costituisce a tutti gli effetti un motivo di grande competizione tra le due metà dell’isola, le arancine occidentali differiscono da quelle orientali anche per la forma.

Infatti dalle parti del catanese e messinese, le “arance” si storpiano per assomigliare a delle punte che ricordano l’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa che pone le sue falde proprio nel territorio dell’est.

Indipendentemente dalla provenienza, certo è che i siciliani rendono onore alla propria terra regalando tributi in ogni modo.

Ma io, che sono di Palermo e che lo sono anche orgogliosamente, difenderò sempre la mia Conca d’Oro(4) e le nostre arance e per questo non potrò che dire, fino alla fine dei miei giorni, che "l’arancinA è fimmina!" (l'Arancina è femmina!).

09.01.22

(1) Il “bar” in Italia è un concetto di punto di vendita diverso da quello estero. Tipicamente, infatti, quello che all’estero si chiama “bar” è un cocktail bar serale, mentre quello diurno è definito “caffè”. In Italia il bar è prevalentemente diurno ma ha un menù decisamente più variegato di quello che si trova in un “caffè” all’estero.

(2) La pasta brioche è un composto per le preparazioni salate o dolci che può essere assimilato a quello della pizza (e mi perdoni Santa Rosalia se scrivo questa blasfemia, ma è l’unico modo per farmi comprendere da un non siciliano!). Con il preparato si possono realizzare, infatti, diverse ricette. Tra quelle più rappresentative c’è sicuramente la “brioches con il gelato”.

Non va assolutamente confusa con la “brioches” delle altre regioni d’Italia (di quelle del nord in particolare), dove la parola viene utilizzata come sinonimo di “croissant”.

Cari turisti, se venite in Sicilia, il croissant dovete chiamarlo cornetto! Ma è anche vero, che se venite in Sicilia, forse il cornetto lo ordinate solo per sbaglio!

 (3) La tradizione cattolica vuole che durante tutti i venerdì del periodo di Quaresima (i quaranta giorni che precedono la Pasqua), non si possa consumare carne. Questo per commemorare la crocifissione di Gesù, avvenuta, appunto, di venerdì.

(4) La Conca d’Oro è la pianura su cui è adagiata l’area della città di Palermo molto famosa per i suoi agrumeti.

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