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Foto & chiu assai (pics & more)

I faraglioni di Scopello

Un rumore di onde che si fonde con leggende secolari e suona una musica antica, che sa di vecchie cittadine, di passione per il lavoro e per la propria terra. Un vento delicato che accompagna il mare e si unisce anche lui a questa melodia che vuole cantare una storia.

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Una storia, delle onde, dei faraglioni, una tonnara sullo sfondo, degli alberi che delimitano l’area, delle montagne.

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Una storia che racconta di popoli che abitavano la borgata, che vivevano di pesca, di mare e di sole. Di popoli che hanno lottato perché nessuno violasse la bellezza incantevole della loro terra.

Delle onde colorate, in cui il blu si mischia al verde e alle chiazze quasi trasparenti che si lasciano attraversare dai raggi del sole. Sono onde colorate dalla fauna marina che custodisce la spiaggia e abita le rocce sul fondale. Sono onde del colore del mare di Sicilia.

Dei faraglioni che troneggiano sul panorama, sbucando fuori dall’acqua come fossero un portale che accoglie i visitatori e, allo stesso tempo, sorveglia la spiaggia dal tempo avverso. Dei faraglioni grandi, imponenti, degni di una casa del re del mare.

Una tonnara che nasconde oggetti preziosi che un giorno servivano per una arte che ha reso la Sicilia famosa e ricca.

Alberi e montagne che completano il panorama e che formano anch’esse delle onde dolci.

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La cosa che mi colpisce dei paesaggi siciliani è l’inamovibilità delle cose. È come se guardassi delle cartoline ogni volta, delle fotografie, che per quanto attuali e vive sembrano nascondere qualcosa di magico che vuole parlare per raccontare come è stata costruita la messa in scena. Fotografie che non si lasciano mai veramente catturare dall’obiettivo e che solo chi apre il suo cuore riesce a coglierne i movimenti lenti, i rumori caratteristici, gli odori.

E questa sensazione la provo soprattutto quando mi trovo davanti al mare, rappresentazione perfetta della mobilità inamovibile: il mare è sempre lì, ma si muove e mai l’onda potrà replicare nella maniera identica le sue forme perché il vento l’accarezza sempre in modo diverso; il mare è sempre blu, ma si lascia illuminare dai raggi del sole e ogni volta assume delle sfumature nuove; il mare è vivo, nelle sue acque nuotano dei pesci che lo rendono una grande casa senza pareti e che accoglie qualunque viandante.

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Quella dei faraglioni di Scopello è una fotografia unica e a me ha raccontato una storia che sa di leggenda:

Una volta, tanto tempo fa, un tritone vagava per le acque siciliane alla ricerca di nuove specie di pesci che potessero arricchire la fauna del proprio villaggio. Erano anni che la sua cittadina era abitata soltanto da tritoni, sirene e seppie e gli abitanti si nutrivano unicamente del loro “nero”. Il tritone era convinto che il mare nella sua vastità racchiudesse molti altri abitanti marini che potevano condividere il loro sapere culinario e le loro risorse, ma nessuno voleva dargli ascolto; era infatti impensabile credere che ci fosse altro oltre al nero di seppia di cui ormai gli abitanti del villaggio si erano specializzati in tantissime varianti e per cui si basava la loro intera tradizione culinaria.

Dopo diversi tentativi in cui il tritone era tornato a casa a mani vuote e dove al massimo aveva avvistato dei pesci egoisti che non volevano raccontargli il segreto del loro nutrimento, un giorno si imbatté in acque nuove, trascinato da una fortissima corrente gelida che lo aveva allontanato di parecchie leghe dalle acque in cui era solito nuotare.

Il tritone si sentì impaurito e disorientato: davanti a lui c’erano degli scogli enormi che sembravano arrivare addirittura fin sopra il livello del mare; roba da non crederci!

Il tritone si guardava da tutti i lati provando a riconoscere un sentiero a lui familiare tra le correnti, ma non riusciva proprio a ritrovarsi e provò un grande senso di smarrimento. Cominciò a pensare a come potere tornare indietro, ma non c’era nessuno scoglio ad indicargli una direzione, nessun pesce amichevole che volesse mostrargli una strada. Si sentì allora anche arrabbiato con sé stesso per essersi spinto così tanto lontano e si sentì stupido per avere creduto di potere cambiare le cose, quando tutti nel suo villaggio lo avevano avvertito che non avrebbe mai trovato niente a parte il prezioso oro che le seppie così tanto generosamente donavano alla loro comunità e che se mai avesse trovato qualcosa non sarebbe mai stato altrettanto buono. Si rimproverò per essere stato presuntuoso, ma sapeva che doveva darsi da fare se non voleva ritrovarsi per sempre a vagare alla ricerca della sua casa e così decise di avvicinarsi a quegli scogli. Pensò che essendo così grandi avrebbero dovuto per forza ospitare qualche forma di vita e magari avrebbe trovato una seppia che gli avrebbe indicato la strada del ritorno. Con un colpo di coda cominciò a salire, attratto dall’acqua che diventava sempre più chiara; cominciò a ruotare attorno ai faraglioni, sperando di scorgere almeno un granchio dentro alle fessure. Ma avvicinandosi troppo a un certo punto sentì un forte dolore proprio alla fine della pinna e chinandosi notò una strana spina conficcata nel corpo. Pensò di doverla togliere subito: gli abitanti del suo villaggio lo avrebbero già deriso per essersi perso, figuriamoci se fosse tornato con la pinna principale scheggiata! E sentì crescere dentro di sé una grande voglia di rivincita.

Ma nel rimuovere la spina, notò che incollata alla base c’era una strana patina di colore arancione. La avvicinò al suo volto per scrutarla meglio e la toccò con il palmo della mano: era decisamente una consistenza che non aveva mai sentito. Istintivamente la portò alla bocca per sentirne il sapore e sentì esplodere le sue papille gustative. Un sapore che faceva girare la testa e uno spessore molto più soddisfacente di quello del nero di seppia. Doveva trovarne altro, doveva trovare la fonte di quel meraviglioso arancione. Se ci fosse riuscito avrebbe finalmente dato un senso a tutte quelle ricerche, avrebbe potuto dire di avere ragione e si sarebbe rivalso su tutti gli abitanti del villaggio che non gli avevano mai creduto. 

Cominciò a roteare attorno allo scoglio per cercare altre spine come quella che l’aveva colpito e trovò almeno una ventina di “pesci” che non aveva mai visto. Erano delle piccole palline piene di aculei dai mille colori: alcuni erano viola, altri blu, altri ancora nero brillante. Si chiese se fossero proprio quegli strani esseri ad essere dei cuochi così tanto bravi.

Provò a toccarne uno e subito si punse. Il suo grido di dolore fece muovere proprio quello strano animale: “perché mi disturbi?”, gli disse quel pesce “puntiglioso”, “non vedi che stavo dormendo?”. “Mi scusi” rispose il tritone “sono stato punto da uno di voi poco fa ma il dolore è stato subito cancellato dalla gioia per una grande scoperta. Siete voi che preparate quella meravigliosa crema arancione?”. “Si”, rispose la creatura “è il nostro lavoro. Noi ricci siamo spesso cacciati dagli altri abitanti del mare come voi che ci volete derubare del nostro tesoro più prezioso, frutto della nostra fatica. Abbiamo colonizzato questi scogli e viviamo lontani da tutti gli altri pesci perché non vogliamo che altri si approprino del nostro lavoro. E adesso va' e non farti più vedere nel nostro mare!”.

“E se facessimo uno scambio?” disse il tritone al riccio.

30.12.2020

Anche l’origine del nome della borgata marina suggerisce l’antichità dei popoli che l’hanno abitata. Il nome Scopello, infatti, deriva dal greco Skopelòs, scoglio.

Scopri dove si trovano i faraglioni di Scopello

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